Terza esperienza alle Paralimpiadi, seconda a quelle invernali. Questa volta non sono solo. Questa volta si va con l'idea di tornare a casa per realizzare qualche cosa di più: un libro.
Non dico di essermi abituato ma mi accorgo che vedo le cose differenti rispetto a Torino. Gli altri vivono Vancouver nel medesimo modo in cui io ho vissuto l'esperienza italiana. Mi sono anche abituato a pensare che in questi casi la sveglia alle 5, il rientro alle 24, la sistemazione di quanto scattato fino alle 2, rdimenticarsi di mangiare per due giorni, ientra nell'esperienza. Si dorme in pullmann tra un trasferimento in montagna e uno in città (circa 120 chilometri) dove si mangiano ciambelle e si beve caffè americano.
Anche qui stessa atmosfera. Palazzetti pieni (speciamente quando gioca il Canada a hockey) e tribune sulle gare di sci sovraffollate di bambini delle scuole sotto la neve e la pioggia. Sul campo se le danno di santa ragione. Fuori ci si abbraccia e si fanno conferenze stampa congiunte. Anche qui però, per la terza volta, non capisco come la nostra stampa italiana non sia presente - o meglio si vanti di trasmettere tutto in diretta ma con 10 ore di fuso orario finisce sul palinsesto ad ore impossibili. E' forse anche questo che ci spinge a fare un libro: la speranza di darne una visibilità, fare qualche cosa che resti, fare qualche cosa che, magari solo nel settore fotografico, permetta di parlarne di questo sport.